lunedì 14 settembre 2015

Trasformati (in meglio) dai nostri figli.

In fin dei conti, che cosa significa essere genitore? E fare il genitore?
In che cosa cambia la vita? Ed in che cosa cambierà, costantemente?
E' un percorso, questo si sa....appena una nuova abitudine della vita da genitore sembra diventare parte della routine, muta nuovamente, evolve e lascia spazio ad una nuova abitudine ancora...
Credo che su un aspetto, siamo tutti d'accordo: mettere al mondo una creatura, un essere umano a sè stante (ribadisco, Un Essere Umano...), fa paura. Implica immediatamente un altissimo, un pesantissimo, senso di responsabilità, che come tutti sappiamo, ha un solo ed unico significato: la capacità di rispondere
Dal latino Respondere (rispondere), seguito dal suffisso -bile che indica facoltà, abilità.

Essere capaci a rispondere, quindi. A che cosa? Alle innumerevoli domande, implicite ed esplicite, di entità, difficoltà e spessore diversi cui si è irrimediabilmente sottoposti nel momento in cui si diventa genitori....ed anche alle situazioni che si vivono, quotidianamente, prestando sempre attenzione al fatto che non si è più da soli, che si ha quell'essere umano in potenza con noi, dietro di noi, che ci osserva...ed impara. 
Insomma, ci si assume la responsabilità di fare la propria parte con approccio il più possibile ieratico, poiché molte cose assumono un significato differente da quello che tu, adulto, attribuivi loro nella tua vita, "prima".
E' che non puoi più prescindere da quella spada di Damocle che si chiama "dare il buon esempio"...o meglio, non è che non puoi...è che capisci molto in fretta che non ti conviene allontanartene...o si trasformerà immediatamente, come da leggenda, in una scure che si abbatterà su di te senza pietà, nel prossimo futuro.

E non si riduce tutto (soltanto) al non fumare in casa (per chi ancora fuma...), al non dire parolacce, al non mangiare stravaccati sul divano, al non maneggiare rozzamente cibo con le mani, al chiudere un cassetto con un piede...ecc...insomma, non si tratta di non potersi più "scazzare in libertà". Si tratta di educare, di saper sapientemente condurre (-ducare) fuori (e-) dal bambino tutto ciò che di positivo "contiene dentro di sè"...




Quindi, si scopre che educare non è neanche lontanamente sinonimo di inculcare e di imporre, ma, è invece, un'attività tutt'altro che semplice, che consta nel saper favorire lo sbocciare della personalità dei propri figli.
Attuare quindi, una serie di scelte che a nostro avviso, aiutano il bambino ad esprimersi al meglio, in accordo con la sua natura...e questa, la si comprende e la si conosce attimo dopo attimo, prestando sempre attenzione ai suoi segnali, ascoltando con tutti i sensi - compreso il sesto (il cuore) - ciò che ci comunica come un bambino riesce a fare, spesso nei modi più disparati...ed irrazionali.
Certo, ovviamente, non sempre si riesce o non sempre si riesce al primo colpo...si impara ad essere e a fare il genitore...non è così immediato...in queste dinamiche conoscitive si intrufolano spesso anche i conflitti non risolti degli adulti, i vissuti ancora "scottanti"....ma che educare nel modo corretto significhi conoscere intimamente il proprio bambino e trasmettergli competenze, nozioni, abilità, esperienze che possano aiutarlo a vivere al meglio, lo si comprende abbastanza in fretta...non foss'altro perchè è proprio ciò che ci è sempre mancato!
Ed in effetti, in queste competenze rientrano anche i banali e noiosi ringraziare, salutare, chiedere con gentilezza, insomma, tutte quelle cose che canonicamente si considerano come semplici norme della buona educazione...perchè avremo sperimentato tutti che se si mangia composti, non ci si sporca, si finisce prima e si può giocare di più...che se si saluta per primi, tutti sono più bendisposti nei nostri confronti, che se si ringrazia, si trasmette altrui la sensazione che abbiamo capito e compreso il suo gesto, il suo sforzo ecc...ecc...

Ma l'altra faccia della medaglia, qual è? Perchè esiste, vero, un'altra faccia della medaglia?
Sì, certo, esiste.
Essere genitori non significa solo avere incombenze, stress, responsabilità, oneri, vincoli, impegni...significa anche sperimentare sentimenti assoluti e cogliere l'opportunità di maturare.
Non tutti coloro che sono padri o madri si sentono o sono persone mature. Alcuni scelgono di non diventarlo mai, altri non sanno individuarne gli estremi e non ne comprendono il significato, altri non sanno come fare a lasciare andare le immagini costruite dentro di sè di loro stessi...ma tutti, tutti, tutti, sono esseri umani da rispettare, tutti hanno i loro travagli interiori....alcuni, sfruttando la metafora, devono ancora partorire se stessi!

Maturare, maturare...cioè?
Per me maturare grazie all'esperienza della genitorialità, alla maternità nel mio caso, significa - come dicevo - avere l'opportunità di rapportarsi quotidianamente con sentimenti assoluti come l'amore, la paura di morire, la felicità, la soddisfazione, l'appagamento, la rinuncia, la stanchezza, la debolezza e nonostante tutti gli sbalzi che le emozioni a loro correlate ti costringono a sentire, essere grata e fiera della vita che stai facendo.
Essere genitore e viversi questa condizione in modo così viscerale e profonda è un dono...è una rivelazione...è una condizione privilegiata che porta con sè, però, una più o meno lunga fase di sofferenza. Accettare di aver scelto, quasi inconsapevolmente, di veder trasformare la propria vita e di maturare grazie alla nascita di uno o più figli significa irrimediabilmente sperimentare sulla e sotto la propria pelle il dolore della perdita.

Prendersi fino in fondo la responsabilità di concepire, crescere, accudire ed educare un altro essere umano con tutto ciò che si possiede ci impone di uscire allo scoperto, di abbandonare, di perdere, la nostra situazione di vita certa e protetta a favore di una vita in cui saremo noi a dover offrire protezione, spesso accompagnati dall'incertezza.
Quella stasi esistenziale e sicura a cui ci eravamo piacevolmente abituati e che con il tempo ci avrebbe condotto ad una condizione di irrealtà e di regressione, lascia il posto al costantemente mutevole, al delicato, all'incerto.
Si perdono tante cose: la libertà di agire da sè e per sè, le uscite frequenti con gli amici, la forma fisica (soprattutto per le mamme...almeno per un po'...), il sonno, il riposo, la pazienza, la tranquillità di poter anche non pensare a domani...ma soprattutto, la propria centralità di individuo, perchè al centro della vita, ora, ci sono loro: i figli.
Il passaggio da un ciclo di vita all’altro richiede sempre di confrontarsi con la perdita del "noto" e con l'ambivalenza del "nuovo": attrae tanto, e altrettanto spaventa...come quando si andava a scuola.
Dove c'è dolore, dove c'è rielaborazione e trasformazione della perdita, c'è sempre una crescita...non solo diventando genitore.
Diciamo che essere padre o madre, facilita il processo!

Il modo per uscire vincitori da questa totalizzante esperienza è conquistare la fiducia nel fatto che ciò che è stato costruito fino al momento di cambiare non ha ragione di essere abbandonato del tutto e che crescere implica sempre conoscenza.
Si perde tanto, ma si conquista di più.
Si migliora, si evolve, si comprendono profondi messaggi di vita, si sperimenta un amore completamente diverso da ogni altro sentimento...in sintesi, si impara ad amare.
Dove Amare significa accogliere, contenere, comprendere, accettare, rispettare, aspettare, ascoltare, apprezzare, incoraggiare, perdonare, essere sinceri, onesti, umili, generosi, fiduciosi, forti.
Dove Amare non significa pretendere, manipolare, mentire, prevaricare, compensare le nostre mancanze interiori.

Questa è la trasformazione, il dono inestimabile, che un figlio fa ad un genitore.

Grazie...